“VALUTATI DI PIU’: CI PENSERANNO GLI ALTRI AD ABBASSARE IL PREZZO” (Anton Pavlovic Cechov)
L’autostima è la valutazione, la considerazione, il giudizio che ogni persona dà sulle proprie capacità, potenzialità, sul proprio valore.
Con essa viene data risposta alla domanda: “Quanto valgo, io?”.
E’ un bisogno molto importante, essenziale, a tal punto che il grande psicologo americano Maslow, lo ha collocato sui livelli più alti della scala piramidale dei bisogni, da lui stabilita, solo dietro al bisogno di “autorealizzazione”, dallo stesso Maslow collocato al vertice della scala. (Maslow,2010).
Per Juul (2003), essa è “una qualità essenziale, poca o molta che sia che fa parte
della nostra esistenza psicologica e determina in modo radicale la nostra vita”.
In senso più perspicuo,Bascelli ( Bascelli et al.2008), per l’autostima,vede la presenza
la presenza di tre specifici fattori:
1.Una dimensione interna al soggetto che gli consente di potersi osservare e di
potersi conoscere;
2. Una componente valutativa che fa sì che il soggetto formuli un giudizio globale su
se stesso;
3. Una componente affettiva che consente la valutazionepositiva o negativa, dei
dati forniti dal “concetto di sé”.
L’autostima interviene sulla motivazione (Se non c’è autostima, la motivazione
viene meno), ci rende intraprendenti ed aperti al nuovo ed alle iniziative, dotati di
perseveranti, resistenti allo stress e “resilienti” (Miceli, 1998)
Essa contribuisce, in modo sostanziale e non secondario, al benessere psicologico
generale della persona, risultando, secondo lo stessoautore,essere anche predittiva
degli atteggiamenti e comportamenti futuri, assumibilidal soggetto nella propria
vita.
Tutto ciò perché, come già sottolineato da Bracken(1992), essa interviene in modo
non sostituibile e trasversale,in tutti gli ambiti della vita:emotività, vissuto corporeo
,controllo dell’ ambiente, autonomia e libertà personale,relazioni interpersonali ,
successo scolastico e lavorativo, esiti di autorealizzazione.
DIFFERENZE TRA AUTOSTIMA, CONCETTO DI SE’ ED AUTOEFFICACIA
L’autostima non deve essere confusa con il “concetto di sé” pur presentando essa
evidenti similarità e strette correlazioni con esso, date dal fatto che ambedue i
costrutti attengono al Sé.
Il concetto di sé, si qualifica, infatti, come l’insieme degli elementi a cui una persona
fa riferimento, per definire se stessa e la propria identità. Esso rappresenta, per così
dire, la sommatoria di tutte le qualità e proprietà che il soggetto si attribuisce, per
poter dire a se stesso chi veramente egli sia(May,1970;Del Miglio, 1990;Galimberti,
1992):
Esso risponde proprio alla domanda:“Chi sono io’”?
L’autostima è, invece, la valutazione, il giudizio, la stima che viene data dal soggetto
sulle informazioni presenti, contenute, nel concetto di sé (Harter,1993).
Essa risponde alla domanda: ”Quanto valgo io?”
Senza che si abbia prima il concetto di sé, non si può dare autostima; inoltre, nel
concetto di sé, prevale l’aspetto cognitivo, nell’autostima, quello valutativo.
L’autostima differisce, anche, dall’autoefficacia.
Per autoefficacia,secondo le parole di Bandura (1977), si intende ”la percezione che i
soggetti hanno rispetto al loro sentirsi in grado di eseguire determinate azioni e
raggiungere determinati livelli in determinati compiti ed ambiti della loro vita”.
Detto costrutto non è da confondersi con quello di autostima, pur esistendo una
notevole correlazione tra i due ed un indubbio, vicendevole influenzamento e
condizionamento.
Infatti, un buon livello di autostima agisce sull’autoefficacia, come pure un adeguato
plafond di autoefficacia ha indubbi effetti positivi sull’autostima.
Ma l’autoefficacia non è una valutazione ed un giudiziodi valore sopra se stessi,
come l’autostima; è, invece, una credenza, un percepirsi,un sentirsi o non sentirsi in
grado di fare certe cose, di tenere certi comportamenti, ai fini del raggiungimento
degli obiettivi desiderati.
E’ come se al proprio interno il soggetto dicesse a se stesso:”Sento, avverto di essere
In grado di eseguire le azioni ed i comportamentinecessari ai fini del risultato
voluto” ovvero ne avvertisse l’impraticabilità.
Non solo, peraltro, non coincide la caratterizzazione distintiva,di fondo, ma è diverso
il raggio d’azione, l’ambito, l’orizzonte d’azione.
Infatti l’autostima è costrutto di tipo globale, generale, mentre l’autoefficacia è di
tipo settoriale, risultando essere funzione della naturadel contesto e del tipo di
compito, in cui si estrinseca.
Così, ad un buon livello di autostima, in senso generale, può corrispondere bassa
autoefficacia, in ordine a compiti specifici e definiti, da svolgere;come,pure, a ridotta
autostima, globalmente parlando, può contrapporsi un positivo senso di efficacia, in
ordine ad azioni e comportamenti, circostanziati,ritenuti, dal soggetto, alla sua
portata.
LIVELLI DI AUTOSTIMA
L’autostima non è una dimensione rigida, fissa, data una volta per tutte e non
più modificabile.
Se è vero che , nella letteratura scientifica psicologica,sitende a considerarla come
un fattore non secondario della personalità, possedente, anche, un certo valore di
“tratto” (Gordon, 1993), e, perciò resistente al cambiamento, pur tuttavia se ne
ammette,in pieno,l’evolutività,la modificabilità e la trasformabilità (Rosenberg,1965;
Murphy et a.2005; Orth et al. 2010);
Così, l’autostima si costruisce, è sforzo,fatica, lotta, impegna tutte le nostre capacità;
come afferma lo psichiatra Willy Pasini:”l’autostima èmobile,è funzione del passato,
delle esperienze già fatte, ma anche di quello che stiamo vivendo. Essa è un fiore che
va annaffiato ogni giorno” ( Pasini, 2001).
Essa è legata a doppio filo con quello che C. G. Jung (1990) ha definito processo di
“individuazione”, cioè, la scoperta di se stessi come soggetti unici ed irripetibili,
dotati di valore.
Sono molteplici gli elementi che intervengono nella strutturazione dell’autostima:tra
i più importanti, sono da rilevare i seguenti
1. Il temperamento di base, di natura costituzionale(Cloninger, 1993);
2. Lo stile di attaccamento,nel primo periodo di vita (Fonagy, 2000; Harter,1999);
3. Le esperienze di vita personali, come i successi e gli insuccessi ottenuti, nel
raggiungimento degli obiettivi di studio e di lavoro (Mead,1934; );
4. Il giudizio degli altri significativi e dell’ambiente esterno,in generale ( Swann,1996;
Buunk,1998);
5. Il rapporto tra sé percepito e sé ideale ( Berti, Bombi, 2005).
Per quanto riguardo l’ultimo fattore, da più fonti (James,1890;Pope et al.1992, Berti
e Bombi, 2005), è stato assegnato ad esso un ruolo dirilevo nella causazione del
livello di autostima.
Da una parte c’è il sé “percepito”, conseguente alla valutazione che il soggetto dà di
se stesso,alla luce delle esperienze fatte e dei risultaticonseguiti, allo stato dell’arte:
è il come rappresentiamo noi stessi, nel presente.
Dall’altra parte,c’è il sé ideale che concerne le aspettative che abbiamo su noi stessi
, su ciò che si vorrebbe e si desidererebbe essere.(ibidem)
In presenza di distanza, fino a vera e propria discrepanza,tra sé percepito e se ideale,
il livello di autostima, secondo i sostenitori di questa tesi, tende ad abbassarsi ed
a e declinare, fino a dare vita ad una vera e propria carenza di autostima, e, cioè, a
bassa autostima,con effetti palesemente limitanti sull’intero piano della personalità.
Se invece la distanza è contenuta ed il divario moderato, viene preservata una sana
ed adeguata autostima, senza limitazioni e menomazioni di sorta, sul piano della
personalità.
Il soggetto mantiene intatto il senso del proprio valore, conservando piena fiducia
nelle proprie capacità e potenzialità nonché una visione ottimistica del futuro.
Ha la consapevolezza che se gli obiettivi desiderati nonsono stati ancora raggiunti,
lo potranno diventare in un futuro prossimo: rimangono intatti, il tempo e le
modalità per realizzarli.
Non vengono a lui meno, la motivazione, l’autodeterminazione, la volontà e la
perseveranza nel perseguire attivamente le mete volute, con piani d’azione realistici
ed efficaci che lo avvicinino progressivamente ad esse.
Si assume le proprie responsabilità, non delegandole ad altri,ha il senso della propria
autonomia e la percezione di poter incidere, in termini fattuali, sopra sulla la realtà
(Agentività, Bandura 1986, 2001; Deci e Ryan, 1995).
Esiste anche un terzo livello di autostima, cioè, l’autostima eccessiva o “ipertrofica”.
Essa si configura come l’esatto contrario, l’antitesi della bassa autostima.
E’ caratterizzata principalmente da aspetti di palese sopravvalutazione di sé, delle
proprie capacità e potenzialità, con sottovalutazione dei limiti imposti dalla realtà.
Ancora: da senso di superiorità nei confronti degli altri e scarsa empatia nei loro
confronti, da bisogno strutturale, pervasivo, di ammirazione e di riconoscimento, da
propensione alla dominanza, all’arroganza ed all’invadenza (Jhon e Robins, 1994).
Per i soggetti con questo tipo di autostima, Rosenford(1987) usa la definizione di
“narcisisti di pelle spessa”, Gabbard ( 1994) quella di “narcisisti inconsapevoli”.
EFFETTI DIPENDENTI DAI LIVELLI DI AUTOSTIMA
A. CONSEGUENZE DI UNA BASSA AUTOSTIMA
Gli effetti una bassa autostima, sono molteplici e tutti di valenza negativa:
-Valutazione negativa di se stessi, delle proprie capacità e potenzialità: vengono
sopravvalutati ed accentuati i propri punti di debolezza e sottostimati i propri punti
di forza (Baumeister,1993);
-Riduzione della motivazione, dell’entusiasmo, della perseveranza nel perseguire gli
obiettivi pianificati.Viene meno la spinta ad agire, a fare, a sentirsi autori del proprio
destino (Deficit di “agentività”, Bandura, 1986, 2001 );
-Senso di rassegnazione,pessimismo, con difficoltà a mettere in atto comportamenti
volti alla propria realizzazione;
-Riduzione delle aspirazioni, difficoltà a porsi obiettivi e carenza di progettualità
(Baumeister, ibidem);
-Deficit di “assertività” (Deci e Ryan,1995; Giannantonio, 2010), comparsa di abulia
ed insoddisfazione, con tendenza a rimuginiocolpevolizzante, con eccessivo timore
rispetto tutto ciò che è nuovo ed imprevisto, con atteggiamenti e comportamenti di
di tipo indebitamente conservativo, non propulsivo;
-Modalità di affronto dei problemi, con prevalenza di comportamenti procrastinatori
e messa in atto di “stili di coping”, di tipo passivo: resae/o evitamento (Lazarus,
2006, Young,2007);
- Scarsità di resilienza e scarsa sopportazione degli insuccessi, con limitata resistenza
allo stress (Miceli, 1998);
-Eccessiva ricerca di assicurazioni da parte degli altri, con dipendenza dalle loro
valutazioni e dal loro giudizio;
-Facile insorgenza di sensi di colpa,di vergogna,frustrazione, di ansietà,con tendenza
a vulnerabilità, anche di tipo psicopatologico: disturbi d’ansia, depressivi (Ansia
anticipatoria,ansia sociale,ansia generalizzata,distimia,Baumeister,1996) e disturbo
dipendente di personalità (DSM-5, 2014).
B. CONSEGUENZE DI UNA BUONA AUTOSTIMA
Gli effetti di una buona autostima sono numerosi e nessuno di valenza negativa:
-Valutazione realistica ed adeguata di sé, accompagnata da autoaccettazione. La
consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, consente di formulare una
piani e di obiettivi concreti ed effettivamente realizzabili;
-Senso di ottimismo, visione fiduciosa di se stessi e del futuro;
-Percezione di autonomia e di agentività (Deci e Ryan,1995;Bandura,1986,2001),tale
da evitare qualsiasi rimando nel futuro, dei compiti dasvolgere, (procrastinazione,
Steel, 2011),e da favorire,invece,nel presente,la messa inatto, di tutte quelle azioni
e di quei comportamenti,necessarii per raggiungere gliobiettivi voluti (Deci,ibidem);
-Buon livello di autoefficacia, con sensazione positiva di essere in grado di affrontare
con successo tutte le sfide che la realtà mette davanti(Bandura, 2000);
-Tendenza a perseverare negli impegni, a resistere a statidi stress anche protratti
nel tempo ed ad mostrare “resilienza”, di fronte agliinsuccessi conseguiti. Tutto ciò
derivante dalla convinzione di poter raggiungere i fini desiderati (Miceli, 1998);
-Capacità ed ampiezza di progettualità. Alla capacità di saper formulare piani e
progetti, si accompagnerebbe la loro estensione, in ampiezza ed in qualità.Non ci sia
accontenterebbe di risultati minimi e residuali, ma sitenderebbe ad una loro
estensione in ampiezza ed in grandezza (Norcross, 2012).
C. CONSEGUENZE DI UN’ ECCESSIVA AUTOSTIMA
-Ridotta competenza ed abilità nel tenere, in gradoaccettabile, rapporti sociali e di
relazione: tutto ciò, a causa di atteggiamenti e comportamenti verso gli altri, di tipo
egoistico ed individualistico, tendenti a sottostimarne il valore degli altri ed a non
tenere veramente conto del loro apporto (Baumeister et al.,1993);
-Rigidità, mancanza di flessibilità e carenza diadattabilità alle circostanze, per una
visione troppo soggettiva e stereotipata della realtà. Chiha un’autostima eccessiva;
non allarga il suo sguardo a tesi e proposte alternative alle proprie;
-Scarsa capacità di saper adeguare i mezzi ai fini, e di saper perseverare nel
raggiungimento dei risultati ambiti: tutto ciò, persovrastima non giustificata nei
propri mezzi e sottovalutazione della realtà (Baumeister, ibidem);
-Progettualità sganciata dalla realtà, con formulazione di piani e di programmi, non
realizzabili;
-Scarsa capacità di tollerare gli insuccessi, considerati come un’ingiustificata offesa,
subita dall’Io, comportante, forme di reattività, non contenuta ed a volte, anche
violenta, possibilmente sfociante in comportamenti di tipo psicopatologico (Bullismo
infantile, Baumeister, 1996; Salmivalli, 1999;Disturboborderline di personalità, DSM-
5, 2014);
-Propensione verso problematiche psicopatologiche, di tipo narcisistico ( Sinha e
Krueger, 1998; Rhodewalt e Morf, 1995; Disturbo dipersonalità narcisistico, DSMV,
2015).
AUTOSTIMA E PSICOTERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Nel trattamento tanto di una bassa autostima quanto diun’autostima eccessiva,
( con tutte le problematiche e le conseguenze negativeche ambedue comportano),
un approccio terapeutico, di riconosciuta validità, per le prove di efficacia da esso
mostrate, sulla base delle innumerevoli verifiche econvalide, svolte su base livello
internazionale (Medicine-Based-Evidence-MBE,Michielin 2004), è costituito dalla
psicoterapia cognitivo- comportamentale.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è unapproccio terapeutico che, pur
comprendendo al proprio interno, sottomodelli e tecniche non univoche, ma varie e
diversificate, corrispondenti al diverso peso edimportanza, dati alla componente
cognitiva ovvero comportamentale, (Semerari, 2000),si rifà ad un modello teorico
di riferimento, che sussume, come suo postulato fondativo l’assunzione che gli
aspetti cognitivi, comportamentali ed emotivi, siano interdipendenti e strettamente
correlati tra di loro, per cui la modificazione degli unicomporta la modificazione
degli altri (Hobson, 2000) .
Essa si avvale di procedure e di interventi,di tipo sia cognitivo che comportamentale,
integrati, in maniera organica, tra di loro, e non con modalità di indebito e mal
riuscito eclettismo, (Wampold 2001), i quali, a partireda una pianificazione che,
preventivamente, ne abbia categorizzato il ruolo, l’importanza e la gerarchia, possa
condurre il paziente al superamento delle problematiche facenti capo ad una bassa
bassa ovvero ad un’ ipertrofica autostima.
Le strategie operative che appaiono ricoprire un’ importanza centrale, in merito al
conseguimento di ciò, appaiono essere le seguenti:
-Effettuazione di un assesment e di una concettualizzazione del caso, approfonditi e
compiuti, che portino ad una reale conoscenza delle caratteristiche specifiche del
soggetto,dei suoi punti di forza e di debolezza e delle sue resistenze al cambiamento
( Kuyen et al.2005; Kendjelic et al.2007) ;
-Instaurazione di una vera e propria “alleanza terapeutica”,tra terapeuta e paziente;
(Lingiardi, 2002; Costanguay, 2010);
-Modificazione dello stile attribuzionale, favorendo,nel soggetto, il passaggio da
un “locus of control”, esterno , ad un “locus of control”,interno (Weiner, 1985);
-Elaborazione completa delle esperienze negative, sperimentate dal soggetto,
inficianti l’autostima, tramite l’utilizzo della tecnica dell’EMDR ( Shapiro, 2007) ;
-Superamento dei comportamenti di tipo protettivo e dievitamento, favorendo nel
soggetto la messa in atto di azioni e di strategie, non di tipo passivo e rinunciatario,
(Resa ed evitamento,Young 2007),ma di tipo proattivo e propositivo (Young,ibidem);
- Superamento delle distorsioni cognitive, di natura disfunzionale e disadattiva, loro
sostituzione, con cognizioni di tipo funzionale ed adattivo e con successiva verifica
della loro veridicità, nella realtà quotidiana (Esperimenti comportamentali, Sacco
e Beck,1985; Semerari 2000) ;
- Implementazione dell’assertività, con l’ampliamento dell’autocontrollo e con il
potenziamento delle abilità comunicative e relazionali(Giannantonio, 2010);
-Aumento del livello di autoefficacia (Bandura, 1997; Borgogni, 2001);
-Incremento della capacità di “problem-solving” (Nezu et al.2010).
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