La parola “panico” ci riporta, etimologicamente parlando, indietro nella storia, al tempo della mitologia greca, quando i greci veneravano come dio dei boschi Pan, una divinità, per metà caprone e per metà uomo. Pan aveva fattezze inquietanti e parossistiche; possedeva, infatti, zampe di capro, corpo ricoperto da folti ed ispidi peli, barba ed orecchie appuntite (come quelle di un demone), riso furbo e sardonico e due corna, in cima alla testa.
Dio dei boschi e delle foreste,la sua voce suscitava un terrore agghiacciante, in chi la udiva. Inseguiva, per tutta la giornata, le ninfe, per poterle possedere; in ragione di ciò, mutava continuamente aspetto, travestendosi, per poterle cogliere impreparate. Appariva loro, sempre con false sembianze, all’improvviso, in maniera fulminea, per non dare alle stesse il tempo di opporsi e di fuggire. Ma, appena iniziato l’attacco, come lestamente era apparso, altrettanto immediatamente, si dileguava e spariva, lasciando libero il campo, senza che le ninfe ne ricevessero alcun danno. La fulmineità, l’imprevedibilità delle apparizioni, il senso di acuto stordimento, di estraneazione, di non controllo, fino al terrore, provocato dalla vista delle fattezze inquietanti ed orrorifiche del dio, ed il senso di angoscia, a fronte delle conseguenze negative, associate all’assalto, lasciavano come loro lascito un senso di ansia, costante e persistente, dovuta al timore che gli attacchi si potessero ripresentare di nuovo, nel futuro.
Tutto questo quadro è quanto caratterizza ciò che viene chiamato, oggi, disturbo da
attacchi di Panico (Acronimo DPA, APA, 2014).
La paura è una risposta di allarme, di apprensione, di natura organica e psichica,
davanti ad eventi, vicini nel tempo e nello spazio, conosciuti e circostanziati, dei
del quale viene ritenuta la minacciosità ed al cui accadimento sono annesse
conseguenze stimate negativamente dal soggetto (APA, 2014).
L’ansia è una risposta di timore e preoccupazione,ad impronta organica e psichica,
di fronte a contesti, eventi, situazioni, non imminenti né immediati, non conosciuti,
non determinati né circostanziati, dei quali è ritenuta la pericolosità, al cui
accadimento (ritenuto possibile) consegue tutta una serie di conseguenze negative
che il soggetto si sforza di evitare (APA, ibidem).
Essa, quando moderata ed equilibrata, elicita un’attivazione generalizzata di tutte le
risorse, in possesso del soggetto, consentendogli la messa in atto di tutti le iniziative
ed i comportamenti, necessari ai fini dell’adattamento e della sua sopravvivenza.
Quando l’ansia è innaturalmente eccessiva perché troppo intensa e sproporzionata
all’evento che l’ha prodotta, si deve parlare di ansia patologica e, cioè, di disturbo
d’ansia.
Essa, in particolare, si fà patologica quando il soggetto, pure volendolo e pure
sforzandosi di esserlo, non è in grado di poterne ridurre l’intensità e la forza, finendo
per esserne dipendente (Mancini e Gragnani).
I disturbi d’ansia sono diversi ed ognuno con proprie caratterizzazioni sia cognitive
che somatiche.
L’elenco comprende l’ansia da separazione, il disturbo da attacchi di panico, l’ansia
o fobia sociale, il disturbo d’ansia generalizzata, il disturbo ossessivo-compulsivo, il
disturbo post-traumatico da stress, per citare i maggiori .
Tra i disturbi d’ansia, il disturbo da attacchi di panico, presenta sintomatologia
sintomatologia fortemente stagliata e chiaramente definita e riconoscibile, con un
corteo di un gran numero di effetti somatici e psichici, che lo accompagnano e che
evolvono in cronicizzazione.
E’ da rilevare come diversamente di una rappresentazione generalizzata del disturbo
da attacchi di panico, visto come mero effetto di un’ansia più accentuata rispetto
alle altre patologie d’ansia, le cose sembrerebbero porsi in un altro modo.
E, cioè, che nel panico non si tratterebbe di dover gestire, contrare, un’ansia più
elevata, ma, proprio, un’ansia diversa, a livello qualitativo ( Bouton et al.,2001).
Varie ricerche e verifiche, svolte, dimostrerebbero l’esistenza di due stati emotivi
distinti, tra ansia accentuata e panico, con annessi circuiti cerebrali, diversi (Charney
et.al.,1998; Famelow et al.,1998; Gray e McNaughton, 1996;Long, 2000).
Nel panico, infatti, non si tratterebbe soltanto di dover anticipare, (anche con un
livello d’ansietà decisamente più accentuato),eventi e conseguenze temute,peraltro
rimandabili nel tempo; si tratterebbe, invece, di dover fronteggiare una situazione
altamente drammatica, eveniente nel momento presente, elicitante una percezione
invasiva di paura o di morte imminente.
Il soggetto, all’atto dell’instaurarsi dell’attacco, parrebbe avvertire se stesso come
essente dentro l’occhio del ciclone e come necessitato a dover gestire un contesto di
vera e propria emergenza.
Il panico quindi corrisponderebbe ad una reazione gestionale,a fronte di uno stato,
vissuto, altamente drammatico, entro il quale ne andrebbe, nel presente, della vita,
del soggetto e non corrispondere,in via limitativa,alla gestione di un’ansia solamente
più accentuata.
CRITERI DIAGNOSTICI DEL DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO (DPA,
APA, 2014)
I criteri diagnostici che identificano il disturbo da panico, sono quattro (4):
1.Ci deve essere più di un attacco,(Almeno due ed oltre), ed essi devono essere non
previsti, e, cioè, non riconducibili ad eventi che li possano spiegare (Cause non note).
Come esempi, si riporta il caso di un attacco di panico che si verifica in pieno stato di
rilassamento e quello di attacco che si svolge durante il sonno (APA, 2014).
Gli effetti dell’attacco, i sintomi, devono essere almeno quattro (4), compresi tra i
tredici ( 13) che caratterizzano, nell’insieme, gli attacchi, e che sono i seguenti:
-Palpitazioni, cardiopalma e tachicardia;
- Brividi e vampate di calore;
- Tremori fini o a grandi scosse;
- Parestesie;
- Dispnea o sensazione di soffocamento;
- Sensazione di asfissia;
- Dolore o fastidio al petto;
- Nausea o disturbi addominali;
- Sensazioni di sbandamento, instabilità, testa leggera o senso di svenimento;
- Derealizzazione o depersonalizzazione;
- Paura di perdere il controllo e di impazzire;
- Paura di morire.
Se si danno meno di quattro di detti sintomi, non si può fare diagnosi di DPA, ma si
deve parlare di panico paucosintomatico.
2. Almeno uno degli attacchi è stato seguito da uno ( o più) di uno o entrambi i
seguenti sintomi:
A. Preoccupazione costante e pervasiva, in ordine alla possibilità che altri attacchi
possano ripresentarsi ovvero che riaccadono le loro conseguenze ( Ad es. perdere il
controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”);
B. Significativa alterazione, di tipo disadattivo, del comportamento collegata agli
attacchi ( per es.comportamenti pianificati onde poter evitare altri attacchi di panico
, come l’evitamento dell’esercizio fisico ovvero di situazioni non famigliari).
3. Il disturbo non deve avere alcun rapporto e correlazione con sostanze ovvero con
altre e diverse condizioni mediche.
4. Il disturbo non deve poter trovare spiegazione a partire da altri disturbi psichici
mentali (per esempio, gli attacchi di panico non si verificano solo in risposta ad una
situazione sociale o in risposta ad altre situazioni, incorporanti altri disturbi d’ansia) .
FATTORI ALLA BASE DEL DPA
E’ stato visto che i fattori che concorrono all’ingenerarsi del DPA,sono molteplici e di
varia natura.
Quelli che, peraltro, sembrano essere i più rilevanti, appaiono essere i seguenti:
-Fattori genetici ed ereditari;
-Fattori temperamentali (Cloninger,1993);
-Senso di vulnerabilità e fragilità personale, venutosi a strutturare nel primo periodo
della vita, nell’interazione con l’ambiente esterno, ed in particolare,nel rapporto con
i caregivers genitoriali.
Relativamente a quanto sopra affermato, si fa specifico riferimento a due costrutti:
A.L’”Organizzazione di significato personale fobica”, di Vittorio Guidano (1988, 1992,
2008);
B.Gli “schemi maladattivi precoci”, di Young (Young,2003);
-Nevroticismo=Il nevroticismo è la propensione del soggetto ad avvertire un effetto
di “affettività negativa”, dal punto di vista emotivo-cognitivo, di fronte a stimoli
procuranti stress ( Eysenck,1967; Gray,1982).
Watson e Clark hanno integrato questo costrutto, specificando che la risposta
affettivamente negativa, tipicizzante il nevroticismo, può verificarsi in contesti, per
loro natura, non incorporanti stress (Watson e Clarck; 1984).
Barlow ha sottolineato che, in compagnia del nevroticismo, si rintracciano livelli di
estroversione molto bassi, contraddistinti da una valutazione negativa di sé e degli
altri, pessimismo, disturbi somatici e bassa autostima (Barlow, 2014).
-Anxiety Sensitivity=L’Anxiety Sensitivity è un costrutto che riguarda la propensione
del soggetto a sperimentare un accentuato condizione di paura, a fronte della
percezione di modificazioni organiche, più o meno significative.
Se essa attraversa trasversalmente tutti i disturbi d’ansia,è stato visto come la sua
incidenza è particolarmente rilevante nel DAP (McNally,2002; Seiden et al.,2003;
Norton et al.,2005)., al punto che diversi studiosi sono passati alla considerazione di
questo costrutto come un autentico fattore di rischio per la cronicizzazione del
disturbo ( Perez Benitez et al., 2009; Oldin et al., 2009).
-Attenzione selettiva=Concentrare l’attenzione su tutti gli indici corporei, in linea
puramente ipotetica, indicativi di una pure assai ridotta modificazione organica,
fino ad indagarli nelle loro più sfumate e dettagliate sfumature, fa sì che si abbassi,
di conserva, la soglia di ricezione delle eventuali modificazioni, percepite, e che se
ne percepisca, maggiormente, l’intensità (Wells, 1997;De Silvestri,1997);
-Presenza di distorsioni cognitive ( Principalmente,la catastrofizzazione, Beck,1985),
dipendenti, “a monte”, da schemi di pericolo, fissi, rigidi ed immutabili, incorporanti
al proprio interno una percezione di sé come persona fragile e vulnerabile (Beck,
ibidem).
- Fattori producenti elevato stress: abusi nell’infanzia, abbandoni, traumi, contesti
e situazioni relazionali conflittuali; stadi di iperlavoro ovvero di insufficiente riposo,
malattie gravi, lutti, cambiamento di ruolo (Per es.l’andare in pensione).
-Assunzione di farmaci ovvero azione di altri disturbi che conducono agli attacchi
di panico (APA, 2014).
DIFFUSIVITA, COMORBILITÀ DEL DPA E DIAGNOSI DIFFERENZIALE
A.DIFFUSIVITA’
Il disturbo da panico, secondo le statistiche, colpisce tra l’1,5 ed il 3,5% circa della
popolazione generale, concentrandosi, in particolare, sui giovani tra i 18 ed i 25 anni
che risultano essere la parte sociale maggiormente colpita da questa patologia
d’ansia ( APA,2014).
In particolare,tra la popolazione giovanile,sono le donne ad essere le più colpite, con
un’incidenza del disturbo, doppia rispetto agli uomini.
Si stima che almeno il 30% della popolazione giovanile abbia subito, in questo range
d’età, almeno un attacco di panico, la maggior parte , peraltro, non rientrante nella
casistica clinica, ufficiale, perché colpita da sintomi insufficienti (meno dei quattro,
considerati, minimi, per l’accreditamento clinico).
Si parla a tal proposito, di sintomi paucisintomatici (APA,ibidem).
B.COMORBILITA’
A livello di concomitanza con altri disturbi, si rileva come il DPA presenti una
comorbilità molto alta con un gran numero di disturbi, in primis, con gli altri
disturbi d’ansia.
Così, nei 2/3 dei casi, in cui si ha DPA, si rintraccia comorbilità accertata con il
disturbo di Agorafobia (APA, 2014). Ma comorbilità dimostrata, si avvera anche in
rapporto al disturbo di ansia generalizzato (Van Ameringen et al.,2013), al disturbo
d’ansia da separazione(Silovec e Marnone,2003), alle fobie specifiche ( Lipsite, 2013)
ed all’ansia sociale (Kristensen et al., 2008).
Minore presenza di contestualizzazione si rintraccia, in riferimento al disturbo
ossessivo-compulsivo (Brakulias et al.,2011) ed a disturbo post-traumatico da stress
(Cangle et al.,2010)
Si osserva concomitanza del DPA anche con i disturbi dell’umore; con il disturbo
depressivo unipolare (Kim et al., 2013) e con il disturbo bipolare, con tassi che vanno
dal 16 al 22% (Dought et al., 2004).
Relativamente al rapporto con disturbi di personalità, il DPA è stato rintracciato
verificarsi,contestualmente ai disturbi di personalità borderline, evitante ed a quello
schizotipico ( Navarro et al., 2013; Barega et al.,2001; Amami et al.,2010).
C. DIAGNOSI DIFFERENZIALE
In fatto di diagnosi differenziale, come indicato dal DSM-5 (APA,2014), essa deve
essere svolta con riferimento alle seguenti aree:
-Disturbo d’ansia con altra specificazione o disturbo d’ansia senza specificazione =
Se non si sono mai verificati attacchi di panico inaspettati, non è possibile la diagnosi
di DPA.
Qualora si siano verificati esclusivamente attacchi di panico paucosintomatici
dovrebbe essere rilasciata la diagnosi di disturbo d’ansia con altra specificazione
ovvero disturbo d’ansia senza specificazione.
-Disturbo d’ansia dovuto ad un’altra condizione medica = Se gli attacchi di panico
sono una conseguenza fisiologica diretta di un’altra condizione medica, deve essere
esclusa la diagnosi di DPA.
-Disturbo d’ansia indotto da sostanze/farmaci= Se gli attacchi di panico sono la
conseguenza fisiologica diretta dell’uso di una sostanza, deve essere esclusa la
diagnosi di DPA. Qualora, peraltro, gli attacchi di panico possano persistere molto
tempo dopo l’uso di sostanze, deve essere presa in esame l’ipotesi di una diagnosi di
DPA.
-Altri disturbi mentali con attacco di panico come caratteristica associata( ad es.,altri
disturbi d’ansia o disturbi psicotici = Gli attacchi di panico che avvengono come
sintomi di altri disturbi d’ansia sono attesi, previsti, non appaiono soddisfare la
diagnosi di DPA, in quanto incorporante, essa, attacchi inaspettati.
Se gli attacchi avvengono esclusivamente come effetto di elementi specifici di un
altro disturbo d’ansia,viene rilasciata la sola diagnosi del disturbo d’ansia, implicato.
Se, peraltro, il soggetto esperimenta attacchi di panico inaspettati e continua ad
avvertire ansia e timore persistenti oppure una modificazione nel comportamento,
legata agli attacchi,in questo caso dovrebbe essere rilasciata una diagnosi aggiuntiva
di DPA.
CONSEGUENZE DELL’ATTACCO DI PANICO
Il ripetersi degli attacchi di panico, la loro imprevedibilità ed il sentimento di acuta
vulnerabilità personale, ad essi connesso, induce, il soggetto sia a temere che essi si
ripresentino sia a provare apprensione ed angoscia al pensare che egli possa, di
nuovo riprovare tutte le sensazioni somatiche, negative, sperimentate durante il
decorso dei precedenti attacchi (Taylor, 2000).
Tutto ciò è rafforzato dal fatto che è consapevole del fatto che, nel caso, di una loro
riproposizione, egli non sarà in grado di opporvisi, con una qualche possibilità di
successo ( Clarck e Beck, 2010).
Si struttura,allora,quella particolare condizione d’ansia,definita “ansia anticipatoria”
ovvero “paura della paura”, con andamento cronicizzante (Taylor, ibidem; Funyama
et al.2013).
A partire da ciò, il soggetto inizia a mettere in atto tutta una serie di condotte e di
pratiche, di tipo sia cognitivo che comportamentale che gli consentano, di rendere
inoperante, rimuovendola, l’angoscia, legata del panico.
A livello cognitivo-emotivo, innanzitutto, il soggetto, sulla base, ”a valle”, dello stato
emotivo, negativo, avvertito, inferisce, “a monte”, la consistenza e la veridicità di un
qualchecosa realmente esistente, come pericoloso, che giustifichi lo stato d’ansia,
percepito: ”Se sono così ansioso, allora ciò significa che sta per succedere qualcosa “
Questo effetto è noto come “affect as information” (Arntz et al.,1995)
Tale convinzione di fondo, fa sì che il soggetto, nella verifica dell’esistenza dei dati di
minacciosità,si rivolga a delle modalità ed attività di investigazione accentuatamente
prudenziali, concentrandosi su tutti gli indizi, anche quelli più minuti, che rimandino
ad una potenziale pericolo, piuttosto che dirigere lo sguardo, liberamente, in senso
più ampio, a tutti quegli elementi che disconfermino la pericolosità di quanto gli si
pone dinnanzi ( Mancini,Gragnani e Shannon Laird, 2007;De Jong, Mayer e Van den
Haut, 1997).
A consimile esito,conduce, anche, l’altra strategia, cognitivo-emotiva che prende il
nome di “mood congruit effect” (Bower, 1981;Teasdale e Russell, 1983).
Essa fa sì che in maniera immediata e,per così dire,irriflessa, il soggetta rivolga la sua
intera attenzione,a contesti e situazioni del passato, in cui vi sia congruenza con lo
stato d’ansia e d’apprensione, sperimentato, nel momento presente: nelle quali,
insomma, si riviva uno stato d’ansia del tutto omologo a quello da vissuto, nell’oggi.
Tutto ciò rafforza la forza della veridicità di quanto percepito, spingendo il soggetto
a concentrare la propria attenzione su tutte le informazioni, provenienti dal proprio
organismo, anche quelle più dettagliate e minimali, che sembrerebbero presentarsi
con valore di indizi, da tenere strettamente sotto controllo (Kirsch,1999).
Tale fatto causa l’abbassamento della soglia nervosa di ricezione degli stimoli, da
considerarsi minacciosi, ciò che viene chiamata “attenzione selettiva” (Wells,1997);
ed induce la loro ritenzione, con maggiore facilità ed intensità che in condizioni, da
doversi considerarsi fisiologiche (Wells, ibidem)
A fronte dell’angoscia causata dall’anticipazione di nuovi attacchi, il soggetto mette
in campo una serie di strategie e di comportamenti, tesi, risolutamente, ad evitare,
nella maniera più rigorosa possibile, che gli attacchi ricompaiano.
Essi sono di due tipi: protettivi e di evitamento.
COMPORTAMENTI PROTETTIVI
- Non restare, mai, da soli, in casa, senza la presenza di qualche famigliare che funga
da fattore protettivo,in particolare,nel caso,che l’attacco di panico possa riaccadere;
-Non uscire,mai di casa, anche per un breve tratto,da soli, ma, sempre, in compagnia
di famigliari, amici, conoscenti o persone di fiducia;
-Portare sempre, in tasca,con sé farmaci (Generalmente ansiolitici ed antidepressivi),
da utilizzare immediatamente, in caso di evenienza;
-Non andare in giro senza essersi prima premuniti della presenza, all’intorno, di
ospedali e/o presidi sanitari;
-Aumentare le visite al proprio medico di famiglia ed intensificare i controlli del
proprio stato di salute tramite l’effettuazione di esami, specifici, di laboratorio;
-Collocarsi sempre vicino alle vie d’uscita, dei luoghi nei quali possa trovarsi.
COMPORTAMENTI DI EVITAMENTO
-Non utilizzare mezzi pubblici di trasporto, quali autobus, treni, metropolitane, aerei
ed evitare di guidare la propria automobile;
-Rifuggire attivamente dal ritrovarsi in luoghi e spazi chiuso ed angusti, quali
ascensori, ristoranti, supermercati, cinema, teatri, aule di conferenze;
-Evitare di ritrovarsi in spazi molto larghi ed aperti, quali ampi parcheggi, ponti,
autostrade e svincoli autostradali, grandi piazze;
-Smettere di praticare attività sportive ( Jogging, esercizi all’area aperta), prima,
praticate, per paura delle conseguenze fisiche, negative, da essi, indotte.
E’ da dire, che i comportamenti agiti dal soggetto per un certo periodo di tempo
(Peraltro, più o meno circoscritto), paiono funzionare, dal momento che gli attacchi
non si ripresentano, nell’immediato; questo elicita, nel soggetto, la percezione della
della loro efficacia e della loro riuscita.
Ma,tutto ciò si rivela,nella realtà, un rimedio solo apparente e confondente, un falso
rimedio.
E’ ciò che viene definito propriamente,“rinforzo negativo”,un rinforzo, cioè, che non
toglie il problema, proprio mentre dà l’illusione di farlo,ma che lo fa,invece,rimanere
in essere ed anzi, lo potenzia (Salkovskis, 1991; Helbig-Lang et al.,2012).
Infatti, il livello d’ansia rimane del tutto intatto, anzi, esso continua ad agire, in
maniera più forte, come fuoco nascosto sotto la cenere, che si riaccende, in modo
imprevisto ed inaspettato, di fronte a stimolazioni, di vario genere che superano
la soglia di controllo del soggetto, ingenerando un nuovo attacco.
Peraltro, oltre alle conseguenze sopra esposte, detti comportamenti ne inducono
delle ulteriori.
Infatti, la qualità del livello di vita a cui è obbligato il soggetto, per la necessità di
prevenire il riaccadere degli attacchi, si abbassa e si decurta in modo, anche
consistente.
Si riducono i contatti interpersonali,il soggetto deve affidarsi costantemente agli altri
,finendo per dipendere da loro ed anche a livello di studio e di lavoro, egli finisce per
perdere il controllo e per la padronanza delle situazioni e dell’ambiente, come non
accadeva in precedenza. (Salkovskis,1999)
Il non affronto delle situazioni temute, in particolare, propende ad accentuare ed
ad intensificare, in lui, la rappresentazione di sé come persona particolarmente
debole, fragile e vulnerabile.
Tutto ciò ad un grado così alto, tale da poter consolidare e strutturare, in lui, l’idea
di non essere più nella condizione di poter svolgere attività precedentemente
praticate, con l’elicitazione di una sfiducia ed un senso di impotenza tali da può
allargarsi a tutti gli ambiti di vita e dare vita ad una vera e propria depressione
secondaria ( ).
IL MODELLO COGNITIVO DEL PANICO DI CLARCK (Clarck,1986;Clarck e Beck,2010)
In termini più generali, l’esordio del disturbo trova spiegazione nel modello della
Diatesi-Stress ossia nella prefigurazione dell’attacco come dovuta all’interazione tra
eventi di vita stressanti (stress) ed una già preesistente vulnerabilità del soggetto
(Martini 2014).
.Il modello che, peraltro, appare meglio dare ragione delle dinamiche specifiche del
DPA e dei fattori di maggiore rilevanza, al suo interno, è senz’altro, da ritenersi, il
modello cognitivo di Clarck ( Clarck, 1986; Clarck e Beck,2010), conosciuto, anche,
come “circolo vizioso del panico”, di Clarck (Clarck,1986).
Secondo esso,nell’attacco di panico, si attua una dinamica consta delle seguenti fasi:
- Uno stimolo esterno o interno (Stimolo scatenante) provoca nel soggetto,coinvolto
l’avvertenza di minaccia;
-Detta percezione elicita uno stato d’ansia (ad un livello maggiore o minore, secondo
l’entità della minaccia avvertita), incorporante l’insorgere di sensazioni somatiche
più negative (Aumento dell’arousal neurovegetativo, negativo).
-In virtù di distorsioni cognitive, ad impronta accentuatamente pessimistica, fino ad
esiti fortemente peggiorativi, dipendenti dalla presenza di schemi di pericolo, fissi,
rigidi ed immutabili, come detenuti dal soggetto, ed aggreganti, altresì, un suo senso
di fragilità e di inconsistenza personale, ai più alti gradi, (Beck, 1985), si determina, a
livello cognitivo, una drammatizzazione degli esiti somatici e psichici, associati alla
comparsa delle modificazioni,sperimentate. Esse appaiono essere del seguente tipo:
“ Mi verrà, di certo, un ictus o un’emorragia cerebrale! Sarò colto da infarto! Sverrò!
Impazzirò sicuramente! Potrò non resistere e morire!” (Beck,ibidem).
-L’accentuazione delle sensazioni organiche, percepite, favorito da un livello di alta
Anxiety Sensitivity (Taylor,1999; Grant et al., 2007), elicita un livello d’ansia, vieppiù
più acuto che incrementa,di nuovo, l’entità, la consistenza, la frequenza, l’intensità e
la numerosità, dei sintomi organici, percepiti.
Si ritorna, così, al primo anello della catena e si ripete una sequela, caratterizzata da
un reciproco influenzamento diretto, di natura circolare e ricorsiva, tra ansia e
sintomi organici negativi, che si trasforma, ad un certo punto, per la forza che ha
acquisito,in un processo inarrestabile,comportante,(per l’ipereccitazione del sistema
nervoso simpatico, direttamente coinvolto) il manifestarsi, senza residui, delle varie
conseguenze somatiche e psichiche, negative, comprese tra i tredici sintomi, che
connotano lo stesso attacco.
Vengono investiti,in modo sempre più crescente e peggiorativo,tutti i vari distretti e
apparati, innervati dal sistema nervoso autonomo (Apparato respiratorio, apparato
cardio-circolatorio, gastro-intestinale,endocrinologo, ecc.ecc.) .
Tutto ciò si realizza, in un contesto allucinatorio, come vissuto dal soggetto che
esperimenta quanto accade
Questi, infatti, vive il tutto, come assistendo ad un’intera una vicenda che si svolge
davanti a lui, in condizioni di totale inanità, non essendo in grado di opporre un
qualsiasi tipo di reazione e di resistenza, al suo dispiegarsi.
Proprio, come accadeva alle ninfe,di fronte agli assalti del tutto imprevisti, folgoranti
e terrorizzanti, del dio Pan.
Il punto più alto,l’acme, degli effetti dell’attacco,tende ad essere raggiunto nell’arco
dieci, quindici minuti.
Da quel momento, si assiste ad un continuo e progressivo decrescimento, di tutti
negativi, sperimentati, fino ad una loro totale estinzione, nell’arco di altri dieci,
quindici minuti.
Il modello del circolo vizioso di Clarck permette di spiegare l’imprevedibilità e la
apparente inesplicabilità degli attacchi.
Per esso, infatti è possibile che ad attivare l’attacco, siano sensazioni somatiche e
mentali, percepite negativamente (Stimolo scatenante, interno), non associate ad un
fattore o agente esterno,delle quali il soggetto possa non essere edotto, perlomeno
nella loro qualità di fattori d’innesco.
Ovvero possono essere pensieri catastrofizzanti, insorti per vie del tutto autonome,
( Ad esempio, non collegabili ad eventi esterni, chiaramente individuabili, e, quindi,
da considerarsi come cause note), della cui influenza, sull’attacco, ugualmente, il
soggetto, possa non esserne edotto.
Ovvero, ancora,può essere qualsiasi percezione di minaccia incombente, avverantesi
in un soggetto, e delle quali, egli non conosca le cause, a poter innescare l’attacco.
Successivamente alla prima formulazione del modello del panico, di Clarck (1986)
ovvero “circolo vizioso del panico 1”, sono intervenute integrazioni del modello, da
parte di Salkovskis ( 1988) e di Wells (1997), costituenti “il circolo vizioso 2”.
Secondo quest’ultime,tra le modificazioni negative,percepite,in prima battuta, come
elicitate dal senso di minaccia avvertito,e le distorsioni cognitive, successive, devono
essere inserite tanto i comportamenti di protezione quanto quelli di evitamento,
(comprendenti l’attenzione selettiva)
Essi, infatti, nell’intervallo di tempo, compreso tra un attacco ed un altro, in qualità
di rinforzi negativi, influiscono sulle distorsioni cognitive, agite, in un nuovo attacco,
accentuandone la previsionalità, negativizzante e drammaticizzante.
Per questa ragione, rientrano, a pieno titolo nel circolo vizioso del panico e devono
essere integrate in esso (“circolo vizioso 2”).
IL DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO ( DPA) E LA PSICOTERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
Il disturbo da attacchi di panico (DPA,APA,2014), non sempre viene individuato
e curato tempestivamente, anche se il soggetto percepisce distintamente gli effetti
negativi somatico-psichici ed esistenziali, direttamente causati dallo stesso.
Pur subendo detti danni, in maniera anche consistente, il soggetto, infatti, può fare
Passare un arco di tempo più o meno lungo, ritendendo che il disturbo possa
passare da sé, per auto-estinzione.
Quando gli effetti negativi gli causano un vero e proprio scompenso psicologico che
egli avverte di non poter gestire, allora si rivolge ad uno specialista.
Tra gli approcci psicoterapeutici maggiormente ritenuti validi nella cura del DPA, è
senz’altro da annoverare la psicoterapia cognitivo-comportamentale, come dalle
numerose verifiche e validazioni scientifiche, ottenute, su scala internazionale,che si
richiamantesi al principio della Evidence Based Practice (Michielin, 2004) .
Per detto principio, si determina una validazione, su base oggettiva e misurabile,
relativamente all’efficacia di un certo percorso psicoterapeutico intrapreso, sulla
base del cambiamento ottenuto, confrontando il livello del disturbo del paziente, al
suo stato di ingresso con quello rilevato all’uscita dalla prestazione.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale si compone di varie fasi che esponiamo
neI termini di una loro migliore esplicatività:
1. Psicoeducazione;
2. Esposizione Enterocettiva;
3.Tecniche di gestione degli stimoli;
4. Ristrutturazione cognitiva;
5. Esposizione in immaginazione, in vivo e virtuale;
6.Verifica delle ricadute.
1. PSICOEDUCAZIONE
In questa prima fase del percorso psicoterapeutico, il terapeuta fornisce al paziente
informazioni sulla natura dell’ansia e sulla differenza intercorrente tra ansia normale
o fisiologica ed ansia eccessiva o patologica.
Viene chiarito come l’ansia,da fattore adattivo ai fini della sopravvivenza,si trasformi
in fattore perturbativo e produttivo di scompenso, su base emotivo-cognitiva, se
sganciata dal contesto, da cui ha preso origine, in quanto palesemente eccessiva e
sproporzionata, rispetto alle caratteristiche, dello stesso. In particolare, si specifica
che la patologia ansiosa consiste nel fatto che il soggetto è incapace di addivenire
ad una sua riduzione ed attenuazione, diversamente da stati d’ansia fisiologici, entro
i quali tutto ciò non accade (Andrews, 2003; Gragnani et al, 2011).
Viene, poi, detto, come il DPA rientri all’interno dei varii disturbi d’ansia, essendo
contraddistinto da caratterizzazioni sue proprie e specifiche, che vengono esposte.
Successivamente, viene delucidato come l’attacco di panico possa insorgere sia a
seguito di cause ed eventi riconoscibili, come sua causa scatenante, sia, in modo
inusitato ed imprevisto, senza cause note, “ a monte”, che lo possano spiegare e
giustificare.
Viene esemplificata, poi, in termini di massima, accessibili al soggetto, la dinamica
progressiva, dell’attacco
Viene a lui specificato,come,durante l’attacco, si inneschi una circolarità ricorsiva tra
fattori emotivo-cognitivi e sensazioni somatiche, negative, ad essi associate, tale da
portare alla masssima eccitabilità il sistema nervoso autonomo, con tutti gli effetti a
a cascata che ne derivano e che colpiscono i vari distretti ed apparati corporei,
coinvolti (Apparato cardiocircolatorio,respiratorio, gastro-enterico, immunitario,ecc..
ecc).
Il massimo punto dell’arousal neurovegetativo negativo viene raggiunto, all’incirca,
entro dieci, quindici minuti, dall’inizio, del processo; successivamente,tutti i sintomi
decrescono progressivamente, fino a cessare del tutto, entro altri quindici, venti
minuti, al massimo.
Durante l’intero circolo del panico, il soggetto che lo subisce, è del tutto passivo e
succube, e non è in grado di opporre alcun tipo di difesa e/o di reazione che, anche,
ne possa attenuare e ridurre gli effetti, fino a subire un’inibizione comportamentale
pressochè totale.
Viene rimarcato, in ultimo, come, dopo l’attacco, il soggetto struttura e consolida, al
suo interno, l’anticipazione angosciante che l’evento possa riaccadere, con tutto il
corteo di sensazioni somatiche negative che gli appartengono. Concepisce, allora, e
mette in atto strategie procedure, di natura sia cognitiva che comportamentale,
idonee alla sua neutralizzazione.
Dette strategie, precisa il terapeuta, sono solo apparentemente, risolutrici;in realtà,
anziché risolvere, sciogliere il problema, non solo lo mantengono, ma, anche, lo
rafforzano, configurandosi come un vero e proprio rinforzo “negativo” (Salkovskis,
1991, 1996, 1999 ).
Infatti, impediscono la disconferma, sul campo, delle apprensioni e dei timori
presenti nel soggetto, sollecitandone, al contempo l’illusione del superamento, dal
dal momento, che, nell’immediato, (entro un circoscritto arco di tempo), gli attacchi non si ripresentano.
Questo chiarimento, permette al terapeuta, di mettersi d’accordo, con il paziente,
sull’immediata cessazione, da parte di quest’ultimo, di dette strategie.
2. TECNICHE DI GESTIONE DEGLI STIMOLI
Successivamente alla Psicoeducazione,, si utilizzano, generalmente, due tecniche di
di gestione e controllo degli stimoli, quali la respirazione lenta, diaframmatica, ed
il rilassamento progressivo di Jacobson; tutto ciò, si svolge sia singolarmente che in
associazione.
Esse hanno il compito,da una parte di ridurre e contenere la tendenza del soggetto a
iperventilare, e, cioè,di respirare in modo eccessivamente veloce, tale da procurare
accumulo di anidride carbonica,con tutte le conseguenze negative,che detta pratica
comporta.
A tale scopo, si insegna, in seduta, con il compito di reiterarla a casa, come esercizio
da svolgere a casa,per circa due o tre volte al giorno, )cinque, dieci minuti ogni volta)
(homework), una diversa modalità di respirazione chiamata “respirazione lenta,
diaframmatica.
E’ una tecnica che consta, sempre, delle due fasi di respirazione, ma modificate:
1.Inspirazione:A.Viene fatta entrare aria dal naso, nella pancia,trattenendola, presso
di essa, per circa 3,4, secondi: 2.Espirazione:B.L’aria viene fatta uscire dalla bocca,
lentamente senza contrarre i muscoli addominali ed inarcare la schiena. Anch’essa
dura 3,4 secondi.
Il tutto deve avvenire in uno stato psicofisico, il più possibile rilassato.
D’altra parte, si può agire sullo stato di tensione muscolare, provocato dallo stato
ansioso in atto, riducendo lo stesso, con sensazioni di miglior benessere, utilizzando
la tecnica del “rilassamento muscolare, progressivo”, di Jacobson (Jacobson 1929;
Bernstein,1973).
In questo caso, si insegna al soggetto la contrazione ed il successivo rilasciamento
delle coppie muscolari dei vari distretti corporei, in modo sempre più progressivo e
completo, fino a coprire l’intera totalità corporea.
Queste due tecniche, in prevalenza scegliendone una soltanto, ma altre volte, per la
necessità del caso,utilizzandole entrambe, dopo essere state insegnante al soggetto,
dal terapeuta, durante la seduta, vengono fatte ripetere, come compito da assolvere
a casa (homework).
Esse contribuiscono a favorire, nel soggetto,un senso di maggior controllo rispetto
allo stato di ansietà percepito.
3. ESPOSIZIONE ENTEROCETTIVA
Successivamente alla Psicoeducazione, ha luogo l’ Esposizione Enterocettiva.
L’Esposizione Enterocettiva si svolge, nello studio del terapeuta. Essa consiste nel
fare svolgere, da parte del terapeuta, al soggetto, una serie di esercizi fisici, che
inducano nell’organismo di quest’ultimo, effetti somatici del tutto omogenei on
quelli da lui riferiti, in ordine agli ultimi attacchi di panico, patiti ( Barlow, 2014;
Arntz,2002; Funayama e Furukawa,2006).
Gli esercizi da svolgere possono essere varii; il soggetto non deve svolgerli tutti,
l’importante è che vengano selezionati e fatti svolgere al soggetto quelli, tali da
fornire gli esiti somatici voluti cosicchè egli possa essere attuare, successivamente,
un confronto, su basi del tutto omogenee (Rovetto,2003) .
Detti esercizi sono i seguenti:
-Fare svolgere al soggetto pratiche di affrettamento e di velocizzazione del respiro,
una sorta di “iperventilazione intenzionale”, tali da indurre, in lui, sensazioni di
stordimento, di vista offuscata e di vertigini;
-Fare girare il soggetto, per qualche minuto, su una sedia girevole, procurandogli
sensazioni di vertigini e perdita di orientamento;
-Far correre il soggetto, lungo un percorso prestabilito, ovvero farlo scendere lungo
le scale dello stabile, all’interno del quale si trova lo studio del terapeuta, e poi farlo
risalire a piedi, per quaranta,sessanta scalini. Tutto ciò, in modo tale che si dermini
aumento della frequenza cardiaca, della respirazione e della sudorazione;
-Fare trattenere al soggetto, il respiro,per un certo lasso di tempo, fino a che avverta
una sensazione di soffocamento;
-Fare respirare il soggetto per mezzo di una cannula, inducendo in lui dispnea e
sensazione di soffocamento, a causa del restringimento del flusso d’aria.
Alla fine dello svolgimento degli esercizi scelti, il terapeuta chiede al soggetto che
tipo di sensazioni organiche e psichiche, abbia percepito, durante la loro attuazione
ed, in particolare, se egli, abbia riscontrato, anche ”in nuce”, a livello d’abbozzo,
qualcuno degli effetti, provati durante gli ultimi attacchi di panico, prima riferiti.
In tal modo,a fronte di una risposta del soggetto,che attesti l’attenuazione o,meglio,
la non comparsa degli effetti, temuti, viene messa in atto una prima forma di
“normalizzazione”, delle sensazioni fisiche e psichiche, apportatrici di ansia iper-
accentuata.
Il terapeuta richiede al soggetto, di continuare a svolgere a casa (homework), gli
esercizi già svolti in seduta, adattandoli alle condizioni del momento, chiedendogli di
prendere nota, per iscritto su un notes o su un quaderno, se abbia avvertito o no
effetti similari a quelli del panico e se sì, a quale livello di intensità (Rovetto, ibidem).
Nel caso di percezione di effetti similari, nella successiva seduta, dietro le indicazioni
del soggetto, il terapeuta ripropone l’esecuzione degli stessi esercizi, preceduti da
raccomandazioni al paziente, intese a favorire, in lui, una migliore padronanza dello
stesso evento. Fino al punto, in cui il paziente avverta effetti più attenuati, rispetto
ai quali il soggetto ritenga di avere un sufficiente livello di controllo e di padronanza.
Il soggetto inizia, così, a ritenere che le sensazioni provate appaiono essere del tutto
fisiologiche e come, dietro di esse, non si celino tutte le conseguenze nefaste, da lui
preconizzate.
Comincia, altresì, a rendersi edotto del fatto che l’effetto delle sensazioni negative,
provate, possa essere sopportato e gestito, dal momento che esse non veicolano,
automaticamente, il panico (Rovetto,ibidem).
Soprattutto, elemento molto importante, si rende del tutto consapevole che i
comportamenti di protezione e di evitamento, da lui messi in atto, a propria
salvaguardia dal ripetersi degli attacchi, non hanno alcun potere di neutralizzazione
degli stessi; anzi, li mantengono in auge e, quindi, vanno abbandonati e fatti cessare
(Salkovskis,1996, 1999)
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