4. RISTRUTTURAZIONE COGNITIVA
La Ristrutturazione cognitiva svolge un ruolo decisamente importante, diretto al
raggiungimento di due obiettivi.
Il primo è quello dell’individuazione,da parte del paziente,delle distorsioni cognitive,
responsabili dell’innesco dell’attacco;il secondo è la loro sostituzione con spiegazioni
alternative, congruenti con le sensazioni somatiche, negative, accorse, e verificabili
empiricamente.
In questa fase, il terapeuta spiega al paziente il modello dell’”ABC”, di Ellis (1989), e,
quello, del tutto similare, della registrazione dei pensieri disfunzionali, di Beck (Beck,
1995; Wells,1997; Beck, 2011).
Sulla base di questi modelli, egli spiega come il comportamento di non reattività e di
immobilizzazione,agito dal paziente,all’inizio dell’attacco,sia collegato,direttamente,
all’ emozione esasperata d’ansia, da lui percepita, che gli elicita un blocco di tipo
comportamentale, totale.
Chiarisce che detto stato di ipereccitazione ansiosa, è determinata, “a monte”, da
stimoli esterni o interni (Eventi scatenanti) e che detti stimoli vengono filtrati e
categorizzati, a livello cognitivo,in termini particolarmente negativizzanti (Distorsioni
cognitive, Beck,1985).
Tutto ciò avviene, in ragione di una sua tendenza a sperimentare uno stato di
affettività negativa,chiamato “Anxiety Sensitivity” (Taylor,1999; Grant et al.,2007), di
fronte allo stress che,in questo caso, è costituito dalle sensazioni organiche,avvertite
come modificate in senso in senso peggiorativo.
Sono esse a costituire il punto d’innesco o “trigger” dell’attacco, (Clarck, 1986), dal
momento che incidono direttamente sull’arousal neurovegetativo (dipendente dallo
stato emotivo emotivo provato), quanto sul comportamento di totale passività,agito.
Tutto ciò perchè il soggetto è condizionato da schemi fissi, rigidi ed inflessibili, di
pericolo, da una parte, che lo invadono, e dall’altra, si concepisce come persona del
tutto fragile e vulnerabile, non minimamente in grado di far fronte allo stress in atto
( Beck, 1985)
Le distorsioni cognitive corrispondono a quelli che Beck chiama “Nat” ovvero
“Pensieri automatici negativi” che sono pensieri automatici, immediati, a valenza
negativa e che appaiono essere relativamente noti a colui che li esperimenta.
Esse sono le seguenti:
-Catastrofizzazione= E’ la più rilevante e determinante. Essa consiste nell’anticipare
esiti drammatici e catastrofici, a partire dai sintomi organici, negativi, percepiti, del
tipo : ”Mi prenderà un ictus o un infarto! Impazzirò! Non sopravviverò!”.
-Astrazione selettiva= E’ la tendenza a concentrarsi, esclusivamente, sugli elementi negativi della situazione, ed a tralasciare quelli favorevoli, utili a ridimensionare, in
senso positivo, la valutazione di ciò che sta avvenendo.
-Saltare alle conclusioni= Il soggetto non ammette livelli intermedi di valutazione e
, e passa, immediatamente, alle conclusioni drammatizzanti;
-Ipergeneralizzazione= Il soggetto associa i sintomi fortemente perturbanti che sta
percependo, ad altri, omologhi, da lui sperimentati in situazioni passate, e tutto ciò
rafforza le sue convinzioni negative.
-Pensiero tutto o nulla= Non vengono ammessi chiaroscuri e si ragiona sulla base del
“tutto o nulla”, relativamente a quanto sta avvenendo.Il quadro appare, così, essere
totalmente negativo, senza alcun residuo (Beck, ibidem).
E’ sulle distorsioni cognitive che necessita fare luce per poter venire a capo del
del problema.
Tramite le metodiche del dialogo socratico e della scoperta guidata, il terapeuta,
anche facendo utilizzare al soggetto diari e schede del panico, egli lo conduce alla
loro identificazione, ed alla constatazione di come essi ritornino, strutturalmente,nel
nel ripetersi degli attacchi (Semerari, 2000).
Una volta che tutto ciò si è verificato,il terapeuta, in un primo momento, favorisce
nel soggetto, il distanziamento dagli stessi. Successivamente, gli propone spiegazioni
diverse ed alternative che possano rendere meglio ragione delle sensazioni sia
organiche che psichiche, prima avvertite, in modo traumatizzante e che ne attestino
la fisiologicità e la normalità, in modo che esse possano prendere il posto delle
vecchie spiegazioni, di natura disfunzionale e disadattiva (Semerari, ibidem).
5. ESPOSIZIONE IN IMMAGINAZIONE , IN VIVO E VIRTUALE
La penultima fase del percorso psicoterapeutico, in cui vengono a compimento gli effetti positivi relativi alle fasi già affrontate, è costituita dall’Esposizione, che può essere di tre tipi: in immaginazione, in vivo o virtuale.
Nell’Esposizione in Immaginazione, il terapeuta, insieme al soggetto, struttura una
scala progressiva,in senso crescente, dei contesti e delle situazioni temute, iniziando
da quelle ritenute meno minacciose per finire con quelle stimate più pericolose.
Successivamente, il T. fa ricostruire al soggetto, in immaginazione, il contesto e la
situazione, posizionata in fondo alla scala; la costruzione deve essere svolta in tutta
la sua completezza, concretezza e vividezza, tenendo conto, anche dei particolari
importanti.
A questo punto,il terapeuta invita il paziente a porsi, in immaginazione, in qualità di
soggetto, al centro della scena, specificandogli che dovrà cercare di fare fronte alle
problematiche d’ansia,elicitate dalla situazione,come vissuta in prima persona,senza
che egli possa adottare alcun comportamento, implicante una risposta di fuga e non
affronto dell’evento, quali condotte protettive e/o di evitamento.
La consegna, inoltre, è quella di attendere che l’apprensione e l’ansia se ne vadano
da sole, attendendo il tempo necessario, nel quale tutto questo si verifichi: con
l’avvertenza al paziente che tutto ciò avverrà entro venti, trenta minuti.
Contestualmente a ciò, il terapeuta pone al soggetto domande del seguente tipo:
”Che cosa provi ? Che cosa sta accadendo intorno a te? Che cosa stai facendo? Che
tipo di emozione provi? Provi solo ansia o che cos’altro? Quanto è intensa l’ansia?
l’ansia? Pensi di riuscire a superarla?”
Il soggetto, mentre risponde alle domande del terapeuta, pur avvertendo ansia, è
impedito dall’evitarla, fino a che essa decade, per via spontanea.
Quando ciò avviene, ed il paziente conferma il superamento dell’ansia, il terapeuta
concorda con il soggetto lo svolgimento a casa (“homework”) di esercizi, omologhi, a
quello già svolto, in seduta. Nell’incontro successivo,il terapeuta, insieme al paziente controlla l’avvenuta neutralizzazione dello stato ansiogeno, annesso al compimento
del compito, e passa alla situazione ed al contesto che vengono dopo, nella scala
gerarchica. Tutto ciò si ripete,con modalità del tutto omologhe, in ordine all’affronto
dei contesti e delle situazioni, posizionate sempre più in alto,nella scala gerarchica,
fino al superamento dell’ultimo scalino.
All’ Esposizione in Immaginazione, segue l’Esposizione in vivo.
I criteri operativi, le modalità procedurali non cambiano, sono esattamente le stesse
; ciò che cambia, sono i contesti e le situazioni, in cui quest’ultima viene attuata.
Non si tratta più di far fronte ad eventi immaginati, pure con tutta la loro vividezza e
la completezza possibili, ma dell’affronto di eventi che si verificano nella vita reale,
di tutti i giorni.
Le consegne rimangono immutate: al soggetto viene impedito di mettere in atto
qualsiasi comportamento protettivo di evitamento e deve aspettare che l’ansia cessi
da sola, nel tempo necessario al suo decadimento (Da trenta a sessanta minuti)
Il soggetto potrà affrontare le prove da solo ovvero avvalendosi dell’aiuto del
terapeuta ovvero di familiari, da lui stesso scelti.
Negli ultimi anni, è emerso un diverso tipo di esposizione, l’esposizione “virtuale”.
Si tratta di un’esposizione ,procurata ad arte, “virtuale“, grazie all’utilizzo di specifici
e sofisticati dispositivi tecnici, quali l’HMD,il display montato sulla testa del soggetto,
ed il CAVE, ossia l’ambiente automatico virtuale generato dal computer ( Diemer et
et al., 2014 ; Riva et al., )
Essa trova applicazione in tutta la grande famiglia dei disturbi d’ansia: nel caso del
DPA, essa può supplire all’esposizione in vivo, che è rifiutata dal 27%, dei pazienti.
Tramite questa procedura, si ingenerano tutta una serie di ambienti virtuali, atti ad elicitare nel soggetto, un senso di pericolosità e di ansietà:ad esempio, un ascensore, una piazza ed una panchina. (Vincelli et al.,2002) )
Le verifiche sinora svolte,sono state più che promettenti,evidenziando migliorament
dei sintomi del DPA, se non identici a quelli prodotti dall’esposizione, in vivo,in ogni
caso, contigui a quest’ultima procedura (Vincelli, ibidem).
6. PREVENZIONE DELLE RICADUTE
La prevenzione delle ricadute è l’ultima fase del percorso psicoterapeutico.
In essa, l’obiettivo è quello di accertarsi che il soggetto abbia acquisito le necessarie
conoscenze sul panico ed abbia, altresì, assimilato, in maniera adeguata ed efficace,
le strategie necessarie al controllo ed alla padronanza dello stesso.
A tale scopo, il terapeuta aiuta il soggetto a compilare, per iscritto, un resoconto in
cui vengano riportati i dati utili al monitoraggio delle competenze e delle abilità
guadagnate, in ordine a tre tipi di dati: le cause del panico, i fattori contribuenti al
suo mantenersi, e, per ultimo, le strategie messe in atto per il suo superamento.
Sulla base di tutto ciò il terapeuta ricorda al soggetto l’importanza di divenire,a tutti
gli effetti, “terapeuta di se stesso”, automonitorandosi in continuità e con metodo,
riguardo alle sensazioni negative,percepite in determinati contesti piuttosto che in
altri e, provvedendo fin da subito, in caso di avvento di uno stato di stress e di ansia
che cominci a diventare impegnativo, alle strategie ed alle metodiche di affronto e
gestione dell’ansia, già apprese durante il percorso terapeutico.
Tutto ciò, anche ricorrendoa “flash card”, di immediato impiego ( )
Ugualmente, il terapeuta raccomanda l’importanza di non incorrrere, per più tempo,
in comportamenti di evitamento, relativi all’affronto di contesti e situazioni, in
qualche modo, problematiche:tutto ciò, rammentandogli il principio che più a lungo
si evitano situazioni che comportano difficoltà di affronto, più si avvera la possibilità
del ritorno di stati d’ansia, difficili da gestire.
E’ da rilevare che ,in ordine al problema delle ricadute, ha acquistato significatività ed efficacia, l’utilizzo della “Mindfulness Based Tress Reduction “(MSBR,Kabat Zinn, 2013; Rainone, 2012; Bulli e Melli, 2010).
Essa si impernia sul vivere il momento presente, distanziandosi da pensieri riportanti
al passato (Ruminazione) o indirizzanti verso il futuro ( Rimuginio), favorendo
l’accettazione e la consapevolezza, in ordine ai pensieri ed alle sensazioni negative,
percepite, nel presente.
In tal modo è stato verificato come subisca una riduzione il livello delle emozioni
negative, sperimentate dal soggetto, e come lo stesso, anche in virtù delle plurime
esperienze di gestione delle stesse, già apprese, possa fare fronte e gestire con
successo, le prime (Kabat Zinn, ibidem).
E’ stato verificato come detta metodica sia in grado di produrre effetti contrastanti
lo stress, per certi versi, in linea, con quelli risultanti dopo la desensibilizzazione
sistematica (Montano, 2007; Bulli e Melli, 2010).
CONCLUSIONI
A livello di letteratura scientifica, le ricerche e le verifiche intraprese su scala
internazionale,hanno evidenziato il ruolo, l’importanza della psicoterapia cognitivo-
comportamentale, come approccio elettivo, di primo impiego, nel trattamento del
DPA (Barlow, 2002; Michielin, 2004; Sanchez-Meca et al., 2010).
In particolare, sono emerse evidenze sul fatto che questo approccio, nella sua
versione completa, includente tanto la strumentazione cognitiva( Psicoeducazione ,
ristrutturazione cognitiva) come quella comportamentale ( Esposizione enterocettiva
in immaginazione, in vivo e virtuale),permette, nell’85% dei casi di DPA, (che non
presentino comorbilità con l’Agorafobia), la riuscita totale della cura e la remissione
dei sintomi negativi, annessi (Clum,1993; Roth e Fonagy,1996).
In presenza di Agorafobia, la percentuale di efficacia, si attesta sul 70% (Mitte, 2005)
:peraltro, apprezzabili livelli di efficacia si sono riscontrati anche nei casi nei quali il
DAP si manifesti in comorbilità con altri disturbi (Tsao et al.,2005,2006)
Relativamente alla possibilità di utilizzare soltanto i farmaci, nella cura del DPA, o,
invece di utilizzarli, congiuntamente alla psicoterapia, ovvero di utilizzare la sola
psicoterapia senza farmaci, il problema è tutt’ora aperto e dibattuto
In linea generale, si tende ad avvalorare il ricorso all’utilizzo dei farmaci,e,cioè,degli
ansiolitici (benzodiazepine, alzaprolam) e degli antidepressivi, ( in prevalenza SSRI)
quando i sintomi organici, del soggetto,siano importanti e necessitino di immediato
contenimento ed attenuazione, in modo tale che egli possa essere condotto, nel
breve, ad una condizione di sufficiente rasserenamento tanto organico quanto
psichico ( Mitte, 2005; Furokawa, 2006).
Tra gli antidepressivi, quelli consigliati come primo impiego, per i loro minori effetti
collaterali e la loro maggiore maneggevolezza, appaiono essere gli inibitori selettivi
del reuptake della serotonina e,cioè, citalopram,escitalopram,paroxetina,fluoxetina,
fluvoxamina, sertralina, (SSRI), che godono di largo impiego.
Peraltro,nel caso dell’utilizzo di antidepressivi, si pone il problema e di ciò va edotto
subito il soggetto,che i loro effetti non avranno effetto subito ma solo dopo qualche
tempo.
Per coprire questo periodo di refrattarietà, allora, si è soliti somministrare, in uno
momento,anche le benzodiazepine, almeno fino a che gli antidepressivi, non inizino
a svolgere gli effetti, previsti.
E’ da rilevare,come, nel caso di assunzione,in contemporanea,di farmaci e dell’avvio
della psicoterapia,tendano ad insorgere problematiche di non immediata risoluzione
che dovrebbero essere costantemente monitorate.
Tra esse, il fatto che il soggetto possa riferire gli esiti positivi del percorso di cura, in
via più o meno assorbente, agli effetti dell’assunzione dei farmaci, con propensione
più o meno consapevole, a ridurre l’importanza del contributo, fornito dalla stessa
psicoterapia (Gragnani et al.,2011).
Tutto ciò potrebbe condurlo ad una diminuizione del suo livello di coinvolgimento e
di motivazione, nello svolgimento dei compiti di automonitoraggio e di esposizione,
a lui assegnatigli dal terapeuta, come lavoro da compiere a casa (homework)
(Gragnani et al., ibidem).
Inoltre, l’uso di farmaci quali le benzodiazepine, potrebbe configurare un loro ruolo
come fattore di mantenimento del disturbo, con valenza di rinforzo negativo, invece
che come elemento interamente positivo.
Infatti, l’utilizzo di questi farmaci, a cospetto di contesti e situazioni temute e la loro
eventuale efficacia,nella gestione dell’ansia,potrebbe essere intravisto dal soggetto
come l’unico e risolutore strumento curativo, possedente efficacia, e potrebbe
portare all’impedimento della ricerca attiva, di altre e diverse strategie di coping, di
vera efficacia,non solo nel breve,ma anche nel lungo termine, indispensabili per una
vera stabilizzazione degli effetti positivi.
Sono da rilevare, peraltro,diverse controindicazioni, relate all’utilizzazioni di farmaci.
In primo luogo, si deve tenere conto degli effetti collaterali, connessi al loro uso,
tali da elicitare un peggioramento non propriamente trascurabile del livello di vita.
In secondo luogo, si deve tenere presente che i farmaci agiscono, non sulle cause del
problema, ma esclusivamente, sui loro effetti; inoltre, si deve considerare che essi,
per tamponare il problema, dovrebbero essere assunti, a tempo indefinito,(con tutti
gli effetti collaterali,annessi), e che, una volta che essi fossero dismessi, in numerosi
casi,i sintomi fino a quel momento cessati,tenderebbero a ripresentarsi,in tempi più
o meno vicini, nel tempo.
Come dimostrato dalla letteratura scientifica internazionale, non solo l’impiego dei
soli farmaci, (rispetto alla sola psicoterapia), produrrebbe un minore numero di
guarigioni,ma,sarebbe,altresì,responsabile di una minore stabilizzazione degli effetti
benefici ottenuti,con una percentuale notevolmente più alta di ricadute ( entro un
anno dalla loro dismissione) ( Otto, 2000; Nadiga, 2003; Rayburn, 2003).
Le verifiche svolte da Barlow (1994 ) e da Mitte (2005), confrontando gli esiti dopo la
cura, dei trattamenti svolti, da una parte con farmaci (imipramina) e dal’altra con la
psicoterapia cognitivo-comportamentale, hanno evidenziato una percentuale di
ricadute notevolmente più alta, nei casi trattati con farmaci rispetto a quelli trattati
con la psicoterapia; esattamente, del 40% contro il 6,8%. Una forbice, decisamente,
molto elevata che pone chiari problemi di discriminazione e di valutazione della
opportunità costi-benefici e della stabilizzazione, degli effetti prodotti, non solo nel
breve, ma, anche, nel medio e lungo termine, nella scelta tra trattamento unente
farmaci e psicoterapia e quello, svolto, con la sola psicoterapia.
E’ da dire, allora, che il solo trattamento con farmaci non appare essere indicato, per
le obiettive limitazioni, sopra esposte.
Il trattamento associato, unente farmaci e psicoterapia, appare essere indicato, nei
nei casi in cui il soggetto accusi sintomi negativi di entità medio-alta e si accerti che
il solo impiego della psicoterapia venga considerato da quest’ultimo, non sufficiente
e non del tutto tranquillizzante.
Peraltro, “ a monte”, lo psicoterapeuta, dovrebbe sempre accertarsi della favorevole
“compliance” del soggetto verso i farmaci, per evitare, poi, nel corso dei lavori,rifiuti
che graverebbero sul trattamento già iniziato.
A questo riguardo, ci sembra di poter dire che reputiamo importante che lo stesso
psicoterapeuta debba rendere edotto il soggetto del fatto che i farmaci agiscono
esclusivamente sui sintomi di natura somatica e non sulle cause che originano il
disturbo, che essi hanno effetti collaterali e che presentano un livello di ricadute,
accentuatamente più alto rispetto alla psicoterapia.
Tutto ciò non per un pregiudizio verso i farmaci e la medicina, ma perché così stanno
realmente le cose.
Dovrebbe essere reso chiaro, al soggetto, che se i farmaci, possono avere necessità
di impiego, nelle fasi sintomatiche, di più alta rilevanza, la perdono, una volta che i
sintomi appaiano essere più facilmente gestibili anche perché il loro uso non mirato
e non delimitato, parrebbe interferire negativamente,in termini obiettivi,sugli effetti
benefici, derivati dalla psicoterapia.
E’ stato, infatti accertato da verifiche scientifiche svolte, come l’utilizzo dei farmaci
paia configurarsi come potenziale ostacolo al pieno dispiegamento degli effetti della
psicoterapia ( Craske et al., 2002; Biondi et al., 2003; Barlow et al., 2000).
Ricerche e verifiche svolte, sul campo, a questo riguardo, evidenziano come l’utilizzo
Dei farmaci infici l’esito positivo della psicoterapia, in diretta relazione con il fattore
“apprendimento”, sotto due aspetti (Hollon, 2006 )
Sotto il primo aspetto, è stato rilevato che i farmaci sembrerebbero interferire, in
termini negativi, con i benefici apportati dall’Esposizione Enterocettiva, nel senso
che l’uso dei farmaci coprirebbe, depotenziandola la valenza e l’efficacia della stessa
Esposizione Enterocettiva, appesantendo e ritardando i processi di “abituazione”,
indotti da essa (Versante comportamentale).
Dall’altra,si ridurrebbero e si decurterebbero le opportunità di poter dare efficacia
alla disconferma delle aspettative catastrofiche, da doversi ritenersi “il trigger”,
(Clarck,1986;Clarck e Beck,2010), il principale fattore d’innesco del DPA (Versante
cognitivo) (Hollon, ibidem).
Quindi, per evitare tutto ciò, riteniamo senz’altro utile che lo psicoterapeuta informi
il paziente che i farmaci dovrebbero essere progressivamente dismessi, una volta
che sia evidente come i costi superino palesemente i benefici.
Fermo,naturalmente,restando il fatto che ogni presa di decisione dovrà essere presa
, in totale autonomia, dallo stesso soggetto.
Nel caso che i sintomi organici, negativi,patiti dal soggetto, non eccedano un livello
medio, che egli palesi in modo evidente la tollerabilità agli stessi, che vi sia una
una soddisfacente “compliance”, tra lo psicoterapeuta ed il soggetto e che quest’ul-
timo abbia ben presente il quadro completo della situazione, acconsentendo con il
terapeuta, riteniamo che sia da preferirsi l’utilizzo della sola psicoterapia cognitivo-
comportamentale piuttosto che l’utilizzo congiunto di farmaci e psicoterapia.
BIBLIOGRAFIA
Amami O, Aloulou J, Siela M, Aribi L. (2010). Rethinc the panic disorder,Encephale ,
36 (2):100.
American Psychiatric Association.Trad.italiana: DSM-5, Manuale Diagnostico e Stati-
Stico dei Disturbi Mentali. Milano, Raffaello Cortina 2014.
Andrews G, Creamer M (2003). The treatment of anxiety disorder clinician guided
and patient. ( Second Edition) New York, Cambridge University Press.
Arntz A, Raumer M, van den Hout M (1995) “ If I feel anxious there be danger: ex-
consequentia reasoning in inferring danger in anxiety disorder. Behav. Res. and
Therapy, 33: 917-925
Arntz (2002). Cognitive Therapy versus interoceptive exposure as treatment of panic
disorder without agoraphobia. Behav. Res.and Therapy,40 325-44.
Barlow D H, Gorman J M,Shear MK, Woods S (2000). Cognitive-behavioural therapy
therapy imipramine,or their combination for panic disorder:a randomized controlled
trial JAMA, 283: 2529-2536 (A).
Barlow DH, Raffa SD, Cohen EM (2002).Psychological treatments for panic disorders
Phobias, and generalized anxiety disorder.In A guide to treatments that Work, ed. PE
Nathon JM Gorman, pp.351-394. London Oxford Univ.Press
Barlow DH (2006). Clinical Handbook of Psichological Disorders.Fifth edition Guilford
Books, NewYork. London.
Barlow DH (2014).Clinical Hand-book of Psychological Disorders. Fifthy edition,Guil-
ford Press, New York,London.
Barzega G, Maina G, Venturello S, Bogetto F (2001). Gender-related distribution of
personality disorders in a sample of patients with panic disorder. European
psychiatry:the journal of the association of European psychyatrist,16 (3),173-179.
Beck AT, Emery G, Grenberg RL (1985). Anxiety disorders and phobias: A cognitive
Perspectiv. Basic Books, New York.
Beck JS (1995). Cognitive Therapy.Basics and Beyond.New York:™he Guilford Press.
( Trad.It: “Terapia Cognitiva.Fondamenti e Prospettive. Roma,Mediserve, 2002)
Beck JS (2011). Cognitive Therapy. Basics and Beyond. 2 Ed. New York: The Guilford
Press.
Biondi DH, Gorman JM, Shear MK, Woods SW (2003). Increased probability of
remaining in remission from panic disorder with agoraphobia after drug treatment
in patients who received concurrent cognitive-behavioural therapy: afollow-up
study. Psychotherapy. Psychosom; 72:34-42.
Bouton MH, Mineka J, Barlow DH (2001). A moderno launing theory perspective on
the etiology of Panic Disorder.Psychological Review, vol.108 (1):4-32
Bower GH (1982). Mood and memory.American Psycholog, 36; 129-148.
Brakoulias V, Starcevic V, Sammut P, Barcke D, Milecevic D, Moses K, Hannan A
(2011). Obsessive-compulsive spectrum disorders: a comorbidity and family history
perspective. Australas psychiatry,19 (2):151-155.
Bulli F, Melli G (2010). Mindfullness & Acceptance IN PSICOTERAPIA. LA TERZA
GENERAZIONE DELLA TERAPIA COMPORTAMENTALE, Eclipsi, Firenze.
Charney DS, Grillon C, Bremer JD (1988). The neurological bases of anxiety and fear:
Circuits, mechanism and neurochemical interaction, part.1.The neuroscientis. Col 4:
4:35-44.
Clarck DM (1986).A cognitive approach to panic. Behaviour Research and Therapy
, 24,461-470.
Clarck DM (1988) A cognitive model of panic attacks.In S.Rachman e JD Maser (Eds),
Panic: Psychological perspectives (pp.71-89). Hillsdale: Erlbaum.
Clarck DM, Salkovskis PM, Hacman AM, Middleton H, Anastasiades P, Golder M,
(1994).A comparaison of cognitive therapy ,applied relation and imipramine in the
treatment of panic disorder. Br.J.Psychiatry, 164:759-769.
Clarck DM, Beck AT (2010). Cognitive Therapy of Anxiety Disorders. Science and
Practice. New York:The Guilford Press.
Cloninger (1993).Cloninger CR, SvrakicDM, Przybeck TR (1993). A
psychobiological
Model of temperament and character. Arch.Gen.Psychiatry 50,975-90.
Cougle JR, Faldner MT, Keough ME, Hawkins KA, Fitch KE (2010). Comorbid panic
attacks among individuals with traumatic stress disorde association with traumatic
event exposure history, symptoms and impairment. J Anxiety disord., 24 (2):183-8.
Craske MG, Barlow DH, (2003). Mastering Anxiety and Panic : Workbook for Primary
Care Setting. 4 ed.New York,Oxford University Press.
Diemer J, Muhlerberger A, Pauli P, Zwenzger P (2014). Virtual relaity exposure in
anxiety disorders: impact on pshycological reactivity. World J Psychiatry, Aug: 15 (6),
427-42.
Doughty CJ, Wells EJ, Joyce PR, Olds RJ, Walsh AE (2004). Bipolar-panic disorder
comorbidity within bipolar disorder families: a study of siblings. Bipolar disorders, 6
(3): 245-252.
Eysenck HJ (1967).The biological basis of personality. Springfield, IC: Thomas.
Freeman MP, Freeman SE, McElroy SL (2002).The comorbidity of bipolar and anxiety
disorders: prevalence, psychobiology and treatment issues. J Affect Disord, 68 (1)
1-23.
Famelow MS(1994). Neural organisation of the difensive behavior system responsive
fear. Psychodinamic Bulletin Review, vol.1:429-
Funayama T, Furukawa TA (2006). Interoceptive hipersensitivity and interoceptive
exposure in patients with panic disorder. Specificity and effectiveness. BMC
Psychiatry,6,32.
Furukawa TA, Watanabe N, Churchill R (2006).Psychotherapy plus antidepressant for
panic disorder with or without agoraphobia. Systematic review. British Journal of
Psychiatry,188,305-312.
Gray (1982).The neuropsychology of anxiety: An enquiry into the functions of the
septo-hippocampal. New York:Oxford University Press.
Gray JA, Mc Naughton N (1996). The neuropsychology of anxiety. In DH (eds)
Perspective on anxiety,panic and fear.Symposium on Motivation;pp.61-13,pp.61.134
Nebraska University Press.
Gragnani A, Paradisi G, Mancini F,(2011).Un modello cognitivo del Disturbo di Panico
e dell’Agorafobia. Aspetti psicopatologici e trattamento. Psicobiettivo, vol.31 (3) ,36-
54.
Grant DM, Beck JC, Davils J (2007). Drugs anxiety sensitivity predict symptoms of
panic, depression and social disorder anxiety? Behav.Res. Therapy,45;2247-2255.
Guidano V F(1987). Complexity of the Self, New York ( Ed It. La complessità del Sé.
Bollati Boringhieri, Torino,1988).
Guidano VF (1991).The Self in Process.Guilford,New York.(Ed.It :Il Sé nel suo Divenire
Bollati Boringhieri, Torino, 1992).
Guidano VF, Cutolo G (2008). La psicoterapia tra arte e scienza. Vittorio Guidano
insegna “come si fa “ la psicoterapia post-razionalista.Franco Angeli Editore, Milano.
Young JE, Klosko JS, Wishear ME (2003).Schema Therapy. A Practitioner’s Guide.New
York: Guilford Press.
Helbig-Long S, Long T, Peterman F,Hayer J (2012). Anticipatory anxiety as a function
of panic attacks and panic related self-efficacy: an ambulatory assesment study in
panic disorder. Behav. Cognit.Psychoterapy, 40:590-604.
Hollon SD, Stewart MO, Strunk D (2006). Enduring effects for cognitive behavior
therapy in the treatment of depression and anxiety .Ann. Rev.Psychol.,57:285-315.
Jong PJ, Mayer B, Van den Hout (1997). Conditional reasoning and phobic fear:
Evidence for a fear confirming pattern.Behaviour Research and Therapy, 35,507-516.
Kabat Zinn J (2013). Vivere momento per momento. Tea Pratica.
Kim B, Kim MK, Yao E, Lee YJ, Coe AY, Yook KA, Lee KS, Cos TK, Lee SH (2013).
Comparaison of panic disorder with and without comorbid mayor depression by
using brain structural magnetic resonance imaging. Prog. Neuropshifarmacol. Biol.
Psychiatry, 43:188-196.
Lipsitz JD, Barlow DH, Mannarra S,Ofinami SG, Fyer AJ (2003).Clinical features of fans
DSM-IV-Specific phobia subtypes. J. Nerv .Ment. Dis.,190(7):471-8.
Perez -Benitez CI,Shea MT, Raffa S,Rende R,Dick IR,Ramsawh HJ et al,(2009). Anxiety
Sensitivity as a predictor of the clinical course of panic disorder: a 1-year follow-up
study. Depress.Anxiety, 26 (4):335-3432.
Kirsh I, (199).How expectancies she experience. Washington, DC: American Psychol.
Association Press.
Kristensen AS, Mortensen EL, Mors O (2008). Social phobia with sudden onset-post-
panic social phobia. J. Anxiety Disord,22 (4):684-92.
Langs PJ, Davis M, Ohmann (2000). Fear and anxiety. Annuals models and human
cognitive psychology. Journal of Affective Disorders, vol. 61:137-159.
Mancini F, Gangemi A, Johnson-Laird FN (2007). Il ruolo del ragionamento nella
psicopatologia secondo la hyper emotion theory Giornale Italiano di Psicologia, 763-
793.
Martini G (2014). Il disturbo da attacchi di panico: sintomi, cause, trattamento.
Prospettiva Editrice.
Michielin P , Bettinardi O (2004). Prove di efficacia e linee guida per i trattamenti
psicologici e la psicoterapia. Rivista scientifica di psicologia. No. 05 Giugno 2004.
Mc Nally RJ (2002). Anxiety sensitivity and panic disorder.Biological Psychiatry; 52:
938-946.
Mitte K(2005). A meta-analysis disorder of the efficacy of psycho-and pharmacothe-
rapy in panic disorder with and without agoraphobia. Journal of Affective Disorder,
88;27-46.
Montano A (2007). MINDFULLNESS. Guida alla meditazione di consapevolezza. Una
terapia per tutti. ECOMIND, Legnano.
Nadiga DN, Hensley PL, Ullahental EH (2003). Review of the long term, effectiveness
of cognitive behaviour therapy compared to medications in panic disorders.Depress.
Anxiety, 12 (2):58-64.
Navarro B, Sanchez ME, Erron A (2013 ). Relationschip bet when personality traits
and panic disorder. Actas Esp Psiquiatr.,41 (1):27.
Norton PJ, Sexton KA, Walker JR,Norton GR (2005).Hierarchical model of vulnerabili-
ties for anxiety:replication and extension with a clinical sample. Cognitive Behaviour
Therapy. 34: 50-63.
Olatunji BO, Wolitski-Taylor KB (2009).Anxiety Sensitivity and the Anxiery Disorder :a
Meta analytic review and synthesis.Psychological Bulletin;135,971-999.
Otto MW, Pollack MH, Kaki KM (2000). Empirically supported treatments for panic
disorder: costs, benefits and strepped care. J.Consult. CLIN. Psychol. Ago:68(4):556-
563.
Perez Benitez CI, Shea MF, Raffa S, Dich IR, Ramsawh HI (2009). Anxiety sensitivity
as a predictor of the clinical corse of panic disorder:a 1-year fellow-up study.Depress
Anxiety, 26 (A),335-342.
Rayburn G, Otto MH, Maki KM (2003). Cognitive behavioral therapy for panic
disorder: a review of treatment elements, stategies and outcomes.CNS Spects. May:
8 (5):356-62.
Rainone A,(2012).La mindfullness, il non fare, l’accettazione e il fare consapevole.
COGNITIVISMO CLINICO, 9, 2:135-150
Riva G, Waterworth S, Murray D (Eds). Interacting with presence HCI and the sense
of presence in Computer-mediated events .De Gruyter Open, Warszaw.
Roth A, Fonagy P (1996).What Works for Whom? A Critical Review of Psychotherapy
Research.(Trad.It:”Psicoterapie e prove di efficacia:quale terapia per quale paziente?
Il Pensiero Scientifico Ed, 1997.
Rovetto F (2003).Panico. Origine, dinamiche e terapie. McGraw-Hill, Milano.
Salkovskis PM (1988).Phenomenology assesment and the cognitive model of panic.
In J. Rachman ed. Master (a cura di ) Panic: psychological perspective (pp.111-136).
Hellsdale, NJ: Erlbaum.
Salkovskis PM (1991).The importance of behaviour in the maintenance of panic and
anxiety: a cognitive account. Behavioural Psychotherapy,19,6-19.
Salkovskis PM, Clarck DM, Gelder MG (1996). Cognition-Behaviour links in the
persistence of panic. Behaviour Research and Therapy,37,559-574.
Salkovskis PM , Clarck DM, Hackman A, Wells A, Gelder MG (1999). An experential
investigation of the role of safety-seeking behaviours in the maintenance of panic
disorders with agoraphobia. Behaviour Research and Therapy,37,453-8.
Sancez-Meca J, Rosa-Alcazar AI, Martin-Martinez F, Gomez-Canesa A (2004).
Psychological treatment of panic with and without agoraphobia: a meta-analysis.
Clinical Psychology Review, 30: 37-50.
Sexton KA, Norton PJ, Walker JR (2003). Hierarchical model of generalized and
specific vulnerabilities in anxiety. Cognitive Behaviour Therapy, 32: 82-94.
Silove D, Marnone C (2013). Overlop of symptoms domains of separation anxiety
disorder in adulthood with panic disorder agoraphobia. J Anxiety Disord, 27 (1): 92-
7.
Taylor s, Rabion B, Federoff IC (1999). Anxiety sensitivity: Problems, perspects, and
challenges. In S.Taylor (Ed.),Anxiety sensitivity: Theorie, Research and treatment of
the fear of anxiety (pp.339-353). Hillsdale, NJ: Erlbaum.
Taylor S (2000). Understanding and Treating Panic Disorder. Cognitive Behavioural
Approaches.Oxford,UK: Jhon Wiley Y Sons LTA.
Teasdale JD, Lussel MC (1983). Differential effects of induced mood in the recall of
positive, negative and natural words. British Journal of Clinical Psychology,22;163-
171.
Tsao JC, Zucker BG, Craske MG (2002). Effects of cognitive-behavioural therapy for
panic disorder on comorbid conditions: replication and extension. Behavioural and
Therapy 43,959-970.
Tsao JC,Mystkowski JL,Zucker BG,Craske MG(2005).Impacte of cognitive-behavioural
therapy for panic disorder on comorbility: a concurrent investigation on.Behavioural
Research and Therapy: 43:959-970.
Van Ameringen M, Simpson W, Patterson B, Mancini C (2013). Panic attacks in
generalized anxiety disorder .J Nerv. Ment.Dis, 2001 (1).52-55.
Vincelli F,Chai H, Molinari E, Wiederhold BK, Bouchard S, Riva G (2002).Virtual reality
ascrited cognitive behavioural therapy for the treatment of Panic Disorders with
Agoraphobia. Stud. Health Technol.Inform.,85:552-9.
Watson D., Clarck LA (1984). Negative affectivity: The disposition to experience
aversive emotional status.Psychological Bulletin, 96 (3),465-490.
Wells (1997).Cognitive Therapy of Anxiety Disorder:A practice manual and concep--
tual guide.Chichester: Wiley.
Kommentare